3 lug 2009

Flavia Marzano – Software libero e pubblica amministrazione: una scelta o un dovere?



Flavia Marzano – Software libero e pubblica amministrazione: una scelta o un dovere?

La lezione di oggi 29 aprile 2009, tenuta da Flavia Marzano, ha trattato il tema del software libero in relazione alla pubblica amministrazione, evidenziando in modo particolare i vantaggi che deriverebbero qualora venisse largamente adottato all’interno della pubblica amministrazione.

Per prima cosa è stato presentato il Decreto Legislativo del 7 marzo 2005, numero 82, conosciuto anche come Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD). Alla sezione II (Diritti dei cittadini e delle imprese), Articolo 3 (Diritto all’uso di tecnologie), Comma 1, asserisce che “I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni ?“.
Questa normativa, che apparentemente sembra la prima a considerare l’uso del software nelle pubbliche amministrazioni, è stata però preceduta da una legge regionale della Toscana, la prima regione italiana a riconoscere, nel 2004, il software open source. Tale legge è di fondamentale importanza perché riconosce appunto, tra le altre cose, la “promozione, sostegno ed utilizzo preferenziale di soluzioni basate su programmi con codice a sorgente aperto, in osservanza del principio di neutralità tecnologica, al fine di abilitare l’interoperabilità di componenti prodotti da una pluralità di fornitori, di favorirne la possibilità di riuso ?“. Inoltre sono esplicitamente descritte le finalità di tale legge, vale a dire favorire l’innovazione e “lo sviluppo della società dell’informazione e della conoscenza in ambito regionale”.
Per quanto riguarda l’Europa, vi è un osservatorio e repository riguardo il software libero che è l’Open Source Observatory and Repository (OSOR).

L’intervento è proseguito mostrando l’iter legislativo italiano relativo all’open source ed alle pubbliche amministrazioni. In breve, sono state citate le proposte di legge Cortiana e Folena (la prima al Senato, la seconda alla Camera) del 2002, l’istituzione di una commissione per il software a codice sorgente aperto nelle PA dell’ottobre 2002, anche detta Commissione Meo, le varie leggi regionali (Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Sardegna, Piemonte) susseguitesi dal 2004 al 2008 ed infine la dichiarazione del ministro Nicolais ad agosto 2006 che affermava “evitiamo di legarci alle grandi aziende di software. La pubblica amministrazione ha bisogno di software liberi”.
Si può quindi notare come il dibattito si sia lentamente spostato dalla discussione sulle definizioni ed i possibili utilizzi del software libero all’effettiva opportunità di adottarlo largamente all’interno della pubblica amministrazione.

Dopo questa introduzione riguardante le leggi italiane, si è passati a parlare della pubblica amministrazione e delle garanzie che deve fornire, sia a se stessa che ai cittadini.
Per quanto riguarda le garanzie che deve assicurare la PA, ricordiamo:

  • integrazione con i programmi software esistenti
  • concorrenza, sicurezza, pluralismo in modo da non dover dipendere da un unico fornitore o un’unica tecnologia
  • interoperabilità, particolarmente importante per assicurare la “continuità dei dati”, ovvero la possibilità di leggerli anche in futuro; disponibilità quindi anche di salvare i dati in formati aperti
  • cooperazione, soprattutto tra le varie amministrazioni in modo da poter trasferire le soluzioni acquistate
  • disponibilità del codice sorgente, anche in caso di software proprietario, al fine di poterlo ispezionare e tracciare

Le garanzie che deve assicurarsi la PA sono invece:

  • la possibilità di ottenere il software e la manutenzione di questo con il miglior rapporto qualità/prezzo
  • la possibilità di essere proprietaria delle strutture dati

Per quanto riguarda i cittadini infine, la PA deve garantire:

  • privacy
  • sicurezza
  • trasparenza
  • accessibilità, inclusa la possibilità di accedere a documenti pubblici senza l’obbligo di acquistare alcun software o licenza

Le opportunità delle PA poi comprendono la possibilità di poter studiare, adattare, copiare e ridistribuire il software, mantenendolo nel tempo, estendolo e migliorandolo.
Tornando al piano legislativo, Marzano ha fatto poi notare come non servano nuove leggi, ma sarebbe sufficiente che venissero adottate quelle esistenti. Infatti si pensi al CAD, art. 69 comma 1, che afferma che “le pubbliche amministrazioni che siano titolari di programmi applicativi realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno obbligo di darli in formato sorgente, completi della documentazione disponibile, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni.”
O addirittura alla legge del 22 aprile 1941, numero 633, art. 11, che recita “alle amministrazioni dello stato, alle province ed ai comuni spetta il diritto di autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome ed a loro conto e spese.” Se con “opere” si intende “software”, appare evidente come già nel 1941 venissero affermati dei punti fondamentali relativi alla PA, che però sfortunamente, per quanto riguarda il caso del software almeno, non sono mai stati applicati.

Infine sono state ribadite le opportunità e le finalità di introdurre il software libero nelle PA, vale a dire:

  • facilitare una maggiore diffusione delle tecnologie e migliorare le opportunità di accesso e di partecipazione di cittadini e imprese
  • realizzare una maggiore indipendenza dai fornitori
  • favorire lo sviluppo di una robusta imprenditoria di software locale

Per concludere, la relatrice ha risposto a numerose domande; riporto qui quelle di maggiore interesse.
Domanda: “Perché se esistono già leggi in merito in Italia, queste non sono state applicate?”
Risposta: “Il problema è che ci vogliono obblighi e sanzioni, altrimenti in Italia non vengono rispettate! Il problema fondamentale è che in Italia non c’è la certezza della pena (si pensi alla Svizzera che ha il 90% in meno di furti).”

Domanda: “Cosa è per Lei la privacy?”
Risposta: “Non mi importa niente che tutti sappiano i miei codici segreti o dati personali, purché non li usino in modo illecito.”

Domanda: “Perché un politico dovrebbe spendere dei soldi per sviluppare un software libero e poi cederlo gratuitamente ad altre PA?”
Risposta: “Basta mettere una clausola di attribuzione, in questo modo si dà visibilità al politico che è quello che vuole! Molto importante poi è il concetto di comunità: io spendo e do una cosa ad altri, ma poi ne riceverò altre. Una possibile soluzione alternativa sarebbe altrimenti centralizzare tutto a livello statale ed imporre una legge in merito.”

Considerazioni personali
L’intervento di oggi è stato estremamente interessante perché ha affrontato un tema molto importante, quello dell’introduzione del software libero nella pubblica amministrazione, analizzandolo da molti punti di vista diversi. In particolare è emerso che la situazione legislativa italiana consente già se non addirittura spinge all’adozione del software libero nelle PA, ma questo non è stato fatto ancora per diversi motivi, quale l’ignoranza di tali leggi ed il fatto che spesso molti politici sono realmente spaventati dalle tecnologie perché non le conoscono.
L’opinione, che condivido in pieno, di Flavia Marzano riguardo a come risolvere questo problema, è quella di insegnare, promuovere, far conoscere il software libero a tutte le persone e sensibilizzarle verso questa possibilità. Soltanto quando vi sarà un movimento forte, compatto e numeroso dal basso che reclamerà ad alta voce l’introduzione del software libero, allora si potrà veramente attuare la rivoluzione tanto attesa.


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